Formazione e sicurezza. Due argomenti di cui non ci stancheremo mai di scrivere, di dibattere, di approfondire. Sono temi ai quali è legata la crescita del Paese, sia dal punto di vista sociale che economico. Non si può, infatti, pensare di investire miliardi di risorse per il Recovery senza tener conto del gap, direi strutturale, che scontiamo in termini di mancata sicurezza ed inadeguata formazione.
Ed a quanto pare il continuo grido d’allarme lanciato dai sindacati, che si rinnova ad ogni tragica fatalità, non è servito, finora, a mutare il quadro. Che la vita sia un percorso denso di insidie e che ad ogni angolo si possa nascondere un evento pericoloso, a volte mortale, un “incidente” insomma, non deve però indurci alla rassegnazione, ad accettare lo status quo.
Alla base c’è la cultura imprenditoriale ed anche quella del lavoratore. Il datore di lavoro deve puntare sulla sicurezza dei propri dipendenti non perché vi è tenuto, obbligato, per legge ma perché riconosce che si tratta di un valore aggiunto alla sua impresa. Un dato che può accreditarlo, conferirgli un “quid” qualitativo in più. Ed il lavoratore non deve più “soprassedere”, deve pretendere ed ottenere la garanzia di poter svolgere il proprio compito in modo sicuro. Ed è qui che entrano in gioco sia i sindacati, che devono tutelare il lavoratore quando è costretto a lottare per ottenere i propri diritti, che lo Stato, che deve assolutamente intensificare i controlli, ma anche rendere meno oneroso rispettare le regole. Sburocratizzando, incentivando, premiando, detassando chi fa della sicurezza un valore aggiunto.
Un cammino impervio, tutto ancora in salita…