Un mondo che cambia. E lo fa alla velocità della luce. Ma le persone? Sono tutte in grado di stare al passo con i tempi? Di adeguarsi alle innovazioni? Di cogliere il meglio della tecnologia senza farsi fagocitare in una sorta di universo parallelo senz’anima? Tutte domande che sociologi, studiosi vari ed esperti si stanno ponendo sempre più ansiosamente e alle quali non è dato fornire una risposta univoca.
Il progresso, si dice, non si può fermare. Ma si può dirigere, controllare, indirizzare. Perché il pericolo reale è che una grande fetta della popolazione resti esclusa, indietro, ingabbiata in un limbo incapace di sfruttare le opportunità e diventi così “inadatta” alla nuova società.
La digitalizzazione deve dunque avere uno scopo: quello di semplificare la vita e migliorarne la qualità, senza però diventare l’unico modus vivendi, escludendo del tutto, come ha fatto durante il lockdown la pandemia, i contatti umani.
Città tecnologiche sì, ma anche città a misura d’uomo e delle sue diverse età. Non è possibile pretendere dall’anziano o da chi non ha la preparazione tecnologica necessaria di stare al passo con la corsa all’innovazione. Perciò bisogna accompagnarli per mano. Fornire anche “guide” nei meandri delle smart city. Altrimenti il rischio che esse diventino città fantasma è reale.
Com’è reale la trasformazione del lavoro che potrebbe “buttar fuori” tutti coloro che non saranno capaci di adeguarsi. La sfida vera è cogliere le opportunità, scegliere cosa cambiare e salvaguardare tutto ciò che prezioso finora l’uomo ha creato. Si perderanno posti di lavoro. Dovranno essere sostituiti da altri, diversi. Ma la transizione va accompagnata, senza lasciare troppe vittime per la strada.
Buona lettura
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